Febbraio 7, 2024
Da un essere umano, che cosa ci si può attendere?
Lo si colmi di tutti i beni di questo mondo, lo si sprofondi fino alla radice dei capelli nella felicità, e anche oltre, fin sopra la testa, tanto che alla superficie della felicità salgano solo bollicine, come sul pelo dell’acqua. Gli si dia di che vivere, al punto che non gli rimanga altro da fare che dormire, divorare dolci e pensare alla sopravvivenza dell’umanità. Ebbene, in questo stesso istante, proprio lo stesso essere umano vi giocherà un brutto tiro, per pura ingratitudine, solo per insultare.
Egli metterà in gioco perfino i dolci e si augurerà la più nociva assurdità, la più dispendiosa sciocchezza, soltanto per aggiungere a questa positiva razionalità un proprio funesto e fantastico elemento. Egli vorrà conservare le sue stravaganti idee, la sua banale stupidità. L’uomo è infelice perché non sa di essere felice. Soltanto per questo. Questo è tutto, tutto!
Chi lo comprende sarà subito felice, immediatamente, nello stesso istante. (Fëdor Michajlovič Dostoevskij).
Come rendersi felici
Con queste parole di Watzlawick, filosofo, sociologo e psicologo austriaco, inizia il suo libro “Istruzioni per renderci infelici”. Un titolo paradossale, sicuramente lontano da quelli dei libri di auto-aiuto che riempiono le biblioteche in cui è tutto un brulicare di “Come diventare felici, sereni, sicuri di sé, ricchi, di successo…”.
Watzlawick si allontana con ironia da tutte le formule che promettono di raggiungere la felicità, perché, alla fine dei conti, definire cosa sia la felicità è una sfida da cui nessun uomo è mai uscito pienamente vincente. Per evitare di incaponirci su una strada percorsa da millenni senza un univoco traguardo, decide dunque di farci conoscere quei meccanismi che ci conducono in direzione opposta: all’infelicità.
Spesso, paradossalmente, capire come possiamo far sì che le cose non funzionino ci aiuta a raddrizzarle. Watzlawick ci offre dei validi spunti di riflessione per imparare a essere non semplicemente non felici, ma proprio dei veri infelici. In particolare, possiamo giocare con il passato. E come possiamo giocarci bene! Possiamo sfruttarlo per generare in noi una profonda e valida tristezza. Watzlawick propone ben 4 giochi con il passato.
- L’esaltazione del passato
Per rendersi infelici è fondamentale guardare al passato attraverso dei particolari occhiali, dotati di quelle lenti che lasciano trasparire solo il bello e il buono. Solo con queste particolari lenti gli avvenimenti trascorsi, magari lenti, costellati da piccoli dolori e disagi quotidiani, diventano un’età dell’oro che non tornerà mai più.
- La moglie di Lot
Per usare il passato a nostro piacimento (e cioè per diventare infelici), è fondamentale non dedicarsi al presente. Il presente infatti, seppur ugualmente al passato costellato di piccoli dolori e disagi quotidiani, è in grado di offrire anche momenti di ottimismo e leggeri sprazzi di non infelicità. Meglio dunque non rischiare e tenere a mente le parole che nella Bibbia l’angelo rivolge a Lot: “Salvati, non guardati indietro e fuggi velocemente, affinché tu non abbia a morire.” Sua moglie invece guardò indietro e divenne una statua di sale.
- Il fatale bicchiere di birra
Watzlawick esalta, nella sua formula per l’infelicità, chi si comporta come vittima del sistema, del destino, della famiglia, degli insegnanti di quando aveva 6 anni…
Se si vuol diventare infelici bisogna fare come l’ubriacone, che condanna il primo bicchiere di birra che l’ha condotto all’alcolismo e non una vita passata a bere senza provare a cambiare. Per rendersi infelici è fondamentale ritenersi figli di trami passati e, se proprio qualcosa di bello alla fine dovesse accadere, è importante non smuoversi e dire: “Ora è troppo tardi, non lo voglio più.”
- La chiave perduta, ovvero “ancora lo stesso”
Questo è il gioco che preferisco. Watzlawick lo introduce con una breve storia: Sotto un lampione c’è un ubriaco che sta cercando qualcosa.
Si avvicina un poliziotto e gli chiede che cosa abbia perduto.
«Ho perso le chiavi di casa», risponde l’uomo, ed entrambi si mettono a cercarle. Dopo aver guardato a lungo, il poliziotto chiede all’uomo ubriaco se è proprio sicuro di averle perse lì.
L’altro risponde: «No, non le ho perse qui, ma là dietro», e indica un angolo buio in fondo alla strada.
«Ma allora perché diamine le sta cercando qui?»
«Perché qui c’è più luce!»
L’ubriaco è per noi un ottimo insegnante si infelicità. Egli continua infatti continua a utilizzare un comportamento giusto (cercare alla luce) ma in una situazione sbagliata (non è lì che sono cadute le chiavi). Quello che sembra più logico, facile, razionale si rivela una soluzione inutile e poco adattiva. Eppure, spesso, continuiamo a cercare risposte solo negli ambiti della nostra vita su cui siamo disposti a far luce, dimenticando che forse le zone d’ombra possono riservarci sorprese inaspettate. Per paura, cerchiamo le soluzioni sotto il lampione delle nostre sicurezze.